Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego: una lunga lettera per raccontare lo spirito del popolo somalo. Recensione

 Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego: una lunga lettera per raccontare lo spirito del popolo somalo. Recensione

Incluso nella dozzina del premio Strega di quest’anno, Cassandra a Mogadiscio (Bompiani, 2023) è l’ultimo libro di Igiaba Scego, scrittrice italiana di origini somale.

L’opera si presenta come una lunga lettera che l’autrice indirizza all’amatissima nipote Soraya, figlia di suo fratello, per raccontarle la Storia della Somalia, un Paese che la guerra ha lasciato senza archivi e senza memoria. In Cassandra a Mogadiscio il resoconto dei fatti storici si intreccia all’odissea della famiglia Scego, dispersa tra i continenti, ma unita dal Jirro, da quel dolore che può provare solo chi è stato costretto a lasciare la propria terra.

Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego: la trama del libro

Igiaba Scego è nata in Italia da genitori costretti dalla dittatura di Siad Barre a lasciare la Somalia, dove il padre, aabo, ricopriva un ruolo politico di rilievo, per iniziare una nuova vita di umiliazioni come immigrati nella Roma degli anni Settanta.

Nel dicembre del 1990, Igiaba è una sedicenne che si sta preparando a festeggiare il Capodanno insieme ai compagni di classe, ignara del fatto che il destino della sua famiglia e di tutta la Somalia sta per essere stravolto dallo scoppio di una guerra civile. Ancora non sa che dovrà attendere quasi due anni prima di poter riabbracciare la madre, hooyo, rimasta intrappolata a Mogadiscio a causa dei combattimenti.

Nell’angoscia dell’attesa, Igiaba deve affrontare il Jirro, il dolore postraumatico che caratterizza l’intero popolo somalo e che in lei assume la forma di un disturbo alimentare con cui cerca di addomesticare l’insensatezza del conflitto e la lontananza della sua hooyo. Ma anche dopo il ritorno in Italia della madre, il Jirro continuerà a tormentare Igiaba con un glaucoma che rischia di privarla della vista. Solo l’alfabeto, quello usato per comporre la lunga lettera indirizzata alla nipote, un esorcismo che evoca insieme «bellezza condivisa» e «memoria salvata», riuscirà a placare il suo dolore.

Un dialogo intergenerazionale per preservare la memoria

«Il nostro archivio è hooyo. E chiunque abbia visto la Somalia prima della distruzione.

È così, nipote amatissima.

Il tuo aabo è un archivio.

Lo zio Abdul è un archivio.

Zahra è un archivio.

Mamma Halima è un archivio.

E naturalmente lo era aabo. Il mio dolce aabo, che mi manca ogni giorno di più.

E anch’io in un certo senso sono un archivio. Perché ricordo».

In Somalia la guerra ha distrutto archivi nazionali e di famiglia, lasciando il Paese privo di memoria. Da qui la necessità di Igiaba Scego di assumersi la responsabilità di avviare un dialogo intergenerazionale, in cui il suo è un ruolo di mediatrice tra la nipote Soraya, cresciuta nel Québec canadese lontano da Mogadiscio, e la madre, che è stata nomade e rifugiata, ha conosciuto la Somalia prima della distruzione ed è stata testimone diretta delle crudeltà della guerra civile. Nel racconto del passato del popolo somalo, tra colonialismo e continue diaspore, l’autrice assume le vesti di una Cassandra che intravede i segnali di una sciagura imminente e che, come la figlia di Ecuba e Priamo, è destinata a scontrarsi con l’indifferenza e l’incredulità di chi la ascolta.

In Cassandra a Mogadiscio, come in molti suoi precedenti romanzi, Igiaba Scego sceglie di mettere al centro della narrazione il corpo femminile, un corpo spesso considerato scomodo, un corpo in continuo mutamento, tra ciclo mestruale e premenopausa, e oggetto di violenze, come la mutilazione genitale che ha scempiato la vita di molte donne somale.

La scrittura di Igiaba Scego in Cassandra a Mogadiscio

In questo libro il somalo, con le sue parole traslitterate nell’alfabeto latino, si mescola all’italiano, che per la Somalia ha rappresentato la lingua tirannica imposta dai colonizzatori, ma che diventa per Igiaba Scego la lingua dell’intimità, l’«ancora di salvezza nel naufragio della vita».

La scrittura di Scego, vivida e diretta, assume la forma di un flusso di pensieri in prima persona in cui i ricordi personali si intrecciano alla storia della sua famiglia e alla memoria collettiva del popolo somalo. L’opera è inoltre ricca di numerosi riferimenti a libri, canzoni e film che rispecchiano il retroterra culturale dell’autrice, tra cultura pop italiana, autori afrodiscendenti e citazioni di opere portoghesi, spagnole e inglesi.

 

A cura di Francesca Cocchi

Blam

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