Dallo Sri Lanka all’Italia, “Acqua sporca” di Nadeesha Uyangoda racconta storie di migrazioni, di ritorni e di sradicamenti
Dopo i saggi L’unica persona nera nella stanza (2021) e Corpi che contano (2024), entrambi pubblicati da 66thand2nd, Nadeesha Uyangoda esordisce nella narrativa con il romanzo Acqua sporca (Einaudi, 2025). Con una scrittura limpida e insieme intensa, l’autrice, nata a Colombo e cresciuta in Italia, costruisce una saga familiare al femminile che attraversa generazioni e geografie, muovendosi tra lo Sri Lanka e la provincia italiana. Attraverso le vite di quattro donne, racconta storie di migrazioni e di integrazione, di riscatto e di ritorni a casa, di sradicamento e di ricerca della propria identità.
Acqua sporca di Nadeesha Uyangoda: la trama del libro
Neela ha lasciato lo Sri Lanka spinta dal desiderio di costruirsi una nuova vita, dopo che la sua famiglia, i Balasinghe, aveva scialacquato le ricchezze accumulate dal nonno paterno. In Italia, ha lavorato come badante e domestica nella casa di una famiglia della borghesia brianzola, prima di diventare proprietaria di un piccolo salone di bellezza. Dopo trent’anni, con la pensione alle porte e qualche risparmio da parte, Neela decide di tornare nella «bella isola».
Ad attenderla ci sono le due sorelle minori, con le quali «aveva condiviso qualcosa di più della semplice vita». Himali, rimasta in Sri Lanka con la figlia adottiva Thilini, ha rinunciato agli ideali politici che la infiammavano da giovane; ogni mese attende che il marito Romesh, ex militante comunista, le invii parte del salario che guadagna come bracciante nei campi italiani. Pavitra, la sorella più giovane, conduce una vita ai margini; segnata dalla disabilità, dalla povertà e da un matrimonio privo di passione, cerca di frenare il sogno della figlia Hirunika, convinta che l’Italia possa offrire una via di fuga da un destino già scritto.
Come trent’anni prima, Neela è di nuovo pronta a separarsi da Ayesha. Sua figlia, nata in Sri Lanka ma cresciuta a Milano, è un’artista in difficoltà, alle prese con la precarietà economica, con l’identità frammentata tipica delle seconde generazioni e con una depressione bipolare che le impedisce di trovare un equilibrio tra i due centri geografici della sua vita.
Storie di migrazioni e dialogo tra generazioni
«Cambiare la pelle, farsi altro, ricominciare per sopravvivere – perché non è vero che il sangue diluisce in acqua sporca: ai propri yakshaya non si sfugge, allora bisogna almeno spogliarsi del volto, indossare maschere nuove per far perdere le tracce».
Romanzo corale e femminile, Acqua sporca restituisce le voci di quattro donne che affrontano in modi diversi il destino di essere nate in Sri Lanka: c’è chi parte, chi sceglie di tornare, chi sogna di fuggire e chi non sa più quale sia la propria casa. La loro determinazione nell’affrontare le disuguaglianze di classe o il razzismo risalta ancor più accanto agli uomini. Figure marginali assenti, incapaci di ricoprire i ruoli di padri o compagni, violenti e dipendenti dall’alcol o dalle droghe.
Nel confronto tra le generazioni, emerge una sorta di incomprensione nel cercare di confrontarsi su temi come la salute mentale e il lavoro. Se per Ayesha la depressione si cura con la psicoterapia, per Neela e le sue sorelle la colpa è di uno yakshaya, un demone ributtante che si aggrappa alle caviglie e si impadronisce del corpo. Se per le prime generazioni di immigrati l’etica del lavoro è «rafforzata dalla gratitudine e dalla necessità di sopravvivere», per le seconde generazioni prevale il senso di colpa nel non essere state in grado di ripagare i sacrifici fatti dai genitori per garantire loro un futuro.
La scrittura di Nadeesha Uyangoda in Acqua sporca
In Acqua sporca, Nadeesha Uyangoda gioca con i piani temporali e intreccia i punti di vista delle quattro protagoniste con una voce narrante in terza persona che lascia il posto alla prima nei capitoli dedicati ad Ayesha. Con un linguaggio preciso e attento ai dettagli del quotidiano, affronta temi complessi senza mai cedere a banalizzazioni o sentimentalismi. Nel romanzo, soprattutto nelle parole di Neela, emerge un lessico familiare in cui convivono l’italiano mai del tutto padroneggiato, l’inglese parlato dai coloni e il singalese, la lingua madre. Una commistione linguistica che diventa rappresentativa del disorientamento identitario e dello sradicamento.
A cura di Francesca Cocchi

